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Immagine del redattoreSimo Cocco

Con i condor sulle dune

Aggiornamento: 20 mag 2023


In ogni viaggio c’è una tappa che ti sorprende. Una tappa non prevista, non pianificata. Una scoperta piacevole, che ti fa restare più notti del dovuto perché in quel posto ti senti a tuo agio, un po’ come a casa. Dove puoi fermarti e non fare nulla per una giornata intera, cosa molto rara quando viaggi attraverso molti paesi e i giorni del calendario sembrano scorrere troppo velocemente per “perdere tempo”.

Per me questa tappa è stata Huacachina, l’ oasi più famosa del Perù, anche perché credo non ce ne siano molte altre. Una vera e propria oasi, circondata da dune, le dune del deserto di Ica. La cosa strabiliante è che ci sono arrivato a cavallo di un condor che dal Canyon del Colca mi ha dato un passaggio. Il condor non vola, plana. Un po’ la sensazione che sto provando in questa parte del viaggio in Perù. Sto planando veloce verso le ultime tappe e anche se mi manca ancora un mese, vedo i giorni planare veloci insieme a me.

Quel condor l’ ho preso al volo mentre ancora mi trovavo nella Granja del Colca, un hotel a picco sul canyon, il secondo più profondo al mondo. La Granja, da non confondersi con ganja, ma tanto simile alla Grange, il mio ristorante preferito nella mia valle preferita! Segni del destino. Il viaggio è stato un po’ travagliato, forse per via dell’altitudine (siamo saliti fino a 5000 m) o forse per via del cuy mangiato la sera prima: non me ne vogliano i vegetariani, ma il porcellino d’ India in Perù è come la carne cruda in Piemonte, va provato. Peccato per quel retrogusto misto pescepollo o pollopesce che forse la prossima volta divento vegano anche io.

Nel canyon ci son stato, son sceso mille metri fino a toccare il fondo. Me li son risaliti tutti all’alba del giorno dopo. Tra condor, asini e guide peruviane che suonavano il flauto abbarbicate su massi a picco sullo strapiombo. Il Canyon del Colca, vicino ad Arequipa, la città accerchiata dai vulcani. Per la prima volta ho visto volare i condor e per la prima volta li ho sentiti fendere l’aria sopra la mia testa. Raramente sbattono le ali, ma sfruttano le correnti e si lasciano trasportare. Maestosi e un po’ inquietanti, ti scrutano dall’ alto come tu potresti scrutare un piatto di tagliolini al ragù.

Qui a Huacachina invece mi accontento di sgazzellare in giro con le dune buggies e fare un po’ di sand boarding, ma ancora meglio di scattare qualche immagine tra le dune o sul ciglio di qualche canyon nascosto. Come nel Canyon de los Perdidos, il cui nome è stato dato in onore degli improvvisati esploratori peruviani che messisi in marcia alla ricerca di questo fantomatico canyon si persero. Ci son stato con Elvis, la guida più mafiosa e rocknroll di Huacachina e con i suoi due scagnozzi Luis e Pedro. Arruolati per garantire sicurezza nel tour (nella zona si verificano spesso saccheggi) si sono rivelati in realtà fondamentali per fare team building.

Due bambini in gita scolastica. Non fosse stato per loro, le tre ore di camionetta nel deserto sarebbero state solo un trauma. Almeno così il trauma alla colonna vertebrale ce lo teniamo, ma con il sorriso. Ricorderò per sempre le dune del Perù, non solo perché inaspettate ma anche perché, come ogni deserto, affascinanti e in grado di suscitare emozioni molto forti, soprattutto con la luce calda del tramonto e con i giochi di ombre che ne scaturiscono. Spero che qualche mia foto possa trasmettere il senso di libertà che ho provato in quei momenti. 

Ora vado perché Elvis stasera suona, non me lo posso perdere. 

Elvis vive.

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